mercoledì 21 gennaio 2015

I testimoni: Enrico Vanzini


Enrico Vanzini sarà ospite dell'Associazione l'undici febbraio a Mestrino. Di seguito alcune brevi note che ne inquadrano la vicenda personale e umana.





Enrico Vanzini (Fagnano Olona, 18 novembre 1922) è un militare italiano. Prigioniero dei tedeschi dopo l'8 settembre, fu inviato a Ingolstadt in Germania a lavorare. Tentò la fuga ma ripreso venne condannato a morte a Buchenwald, pena in seguito commutata con l'internamento a Dachau. Sopravvissuto ai lavori forzati e a condizioni indescrivibili nel campo di concentramento nazista, fu costretto a lavorare alla camera a gas e ai forni crematori di Dachau, diventando testimone dell'orrore nazista. È l'ultimo italiano appartenente al Sonderkommando ancora vivente.


Nel 1939, a soli diciassette anni Enrico Vanzini fu arruolato in artiglieria nella Caserma di Alba e destinato al fronte
russo. A causa di un intervento chirurgico cui venne sottoposto saltò la chiamata e venne inviato in Grecia. Dopo il proclama dell'8 settembre 1943 fu arrestato dalla Wehrmacht essendosi rifiutato di collaborare con i nazisti .

Lavori forzati a Ingolstadt.
Il 19 settembre 1943 fu caricato ad Atene su un treno stipato all'inverosimile di prigionieri italiani ed inviato in Germania. Il viaggio durò due settimane in condizioni igieniche precarie, con scarsissime razioni di cibo e di acqua. Molti dei suoi compagni perirono durante il viaggio. Condannato ai lavori forzati fu inviato ad Ingolstadt per lavorare nell'industria bellica del Reich presso una fabbrica di chassis di carri armati.

I bombardamenti anglo-americani colpirono più volte la cittadina di Ingolstadt considerata obiettivo militare strategico. Nel settembre del 1944 dopo un intenso bombardamento alleato la fabbrica venne duramente colpita ed Enrico Vanzini con altri due compagni,  approfittando della situazione di generale smarrimento,  riuscì a fuggire.

Venne arrestato dieci giorni più tardi nelle campagne a sud di Monaco e condotto al campo di concentramento di Buchenwald. In quanto fuggiaschi lui e i suoi due compagni il giorno stesso vennero condannati a morte per fucilazione.

Internamento a Dachau
Con l'aiuto di un ufficiale della Wehrmacht i condannati riescono a dimostrare di non essere fuggiti da Ingolstadt ma di essere stati abbandonati a causa dei bombardamenti intensi. La pena venne commutata in internamento. Enrico Vanzini entrò nel campo di concentramento di Dachau nell'ottobre del 1944. Gli fu tatuato sul polso il numero di matricola 123343, già appartenuto ad un detenuto deceduto, e fu assegnato alla baracca 8 nella sezione dei detenuti lavoratori.

Nei sette mesi di detenzione Enrico Vanzini, oltre agli stenti dovuti alla fame, al trattamento disumano, al lavoro, alle epidemie, alla sete e al gelido inverno, fu testimone dell'orrore dei forni crematori: fu costretto infatti a lavorare per i nazisti nello smaltimento dei cadaveri nei crematori.

I forni crematori di Dachau erano due, uno molto piccolo dotato di un forno a doppia muffola installato dalla tristemente famosa ditta Topf nel 1940 in un capannone di legno dipinto in stile bavarese e accanto un altro molto grande in muratura dotato di una ampia sala d'incenerimento con quattro forni Kori e capace camera a gas, inaugurato nel 1943.

Secondo la sua testimonianza e quella di altri reduci, la camera a gas di Dachau, quella accanto alla sala dei forni nel crematorio grande, era assai operativa negli ultimi mesi prima della liberazione del campo. Il Vanzini fu testimone anche degli esperimenti su cavie umane eseguiti nel laboratorio medico del lager, in quanto costretto a prelevare i cadaveri delle vittime dal laboratorio per condurli sempre ai forni crematori.

Liberazione e testimonianza.
Il 29 aprile 1945 il campo di Dachau viene liberato. Enrico Vanzini è allo stremo ma riesce a sopravvivere. Quando torna a casa, da cui mancava da più di cinque anni, pesa 29 chilogrammi e i suoi genitori non lo riconoscono. 

Poco dopo si trasferisce in Veneto, si sposa, ha due figli e lavora come autista di camion e pullman. Per sessanta lunghi anni non racconta la sua storia neppure alla famiglia. Solo nel 2005 decide di condividere quel dramma ed è così che la sua esperienza diventa prima un documentario, poi un libro, entrambi curati dal giornalista padovano Roberto Brumat. 

Il 29 gennaio 2013, al Quirinale, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, gli conferisce la medaglia d’onore.



fonte: wikipedia e il BO, giornale on line dell'Università di Padova

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