giovedì 1 dicembre 2016

Natale di solidarietà, la grande musica a Rubano. Messiah, 2



Messiah.
“Ero prigioniero e sono stato liberato”







Segue da: Messiah, 1


La passeggiata di Händel dovette essere veramente faticosa, perché nel  1737, dopo uno prolungato stress fisico e mentale, procuratogli dalla composizione di ben quattro opere in soli dodici mesi,  era stato colpito da  un ictus che gli aveva paralizzato il braccio destro.
“Forse riusciamo a salvare l’uomo, ma il musicista è perso per sempre. Penso che il suo cervello sia permanentemente lesionato”. Questa l’amara diagnosi del suo medico. 
Il nostro, in realtà, in qualche modo si riprese, ricominciando a suonare l’organo, ma la sua creatività e  la forza espressiva sembravano averlo abbandonato per sempre. Al suo ritorno a Londra, le sue nuove opere non riscossero alcun successo e fu di nuovo assalito dai creditori. 
“Non c’era un inizio né una fine. Händel era completamente vuoto”, scriveva un suo biografo.
  “Perché Dio ha permesso la mia risurrezione, soltanto per lasciare che gli uomini mi seppelliscano di nuovo?” Fu il suo amaro commento.
Un Händel sull'orlo di una crisi depressiva, quindi, quando gli arrivò il manoscritto del libretto del Messiah. La tentazione di cimentarsi nuovamente nella composizione era grande, ma altrettanto comprensibile l’ansia e il timore di un nuovo insuccesso.   
“Consolate, consolate”, erano le prime parole del manoscritto, che lo impressionarono e suscitarono in lui un profondo interesse che ben presto si trasformò in entusiasmo, in un crescendo di emotività e di ispirazione, leggendo i versi successivi: la proclamazione angelica della nascita del Salvatore e le profezie di Isaia sul Messia, che sarebbe venuto al mondo come gli altri comuni neonati.
“Poiché un fanciullo ci è nato”... ed ecco il collegamento con una melodia ben conosciuta che aveva composto in precedenza. Le note si sommano  nella sua mente più veloci della scrittura;  l’immagine di un amorevole Buon Pastore si concretizza nell’aria intitolata “Egli pascerà il suo gregge”. E poi arriva  l’esultanza sconfinata dell’“Alleluia” seguito dalla testimonianza dolce e suprema di “Io so che il mio Vindice vive”. Alla fine la conclusione maestosa: “Degno è l’Agnello”.
La resurrezione del Cristo così si lega indissolubilmente nei secoli a quella personale dell’autore.





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